Il problema della qualità
Dopo aver costruito negli ultimi dieci anni gran parte delle nostre periferie, le cooperative di abitazione italiane hanno cominciato ad interrogarsi sul tipo di città prodotta, sul suo valore. La mostra “Lavorare in architettura”, tenuta alla Biennale di Venezia nel 1982, aveva tentato un primo bilancio; la collaborazione delle cooperative toscane con l’Agip petroli apre gli studi e le ricerche sul problema dell’arredo, o della definizione degli spazi esterni (Bologna, Saie 2 marzo 1983), il corso “Qualità e Grande Numero” tenuto a Pomezia nei mesi di giugno e luglio, testimoniano la volontà di affrontare in modo diverso il problema dell’abitazione.
Ma non si può certo riproporre oggi un tema come “Qualità e Grande Numero” con le stesse intenzioni e la stessa carica ideale propria degli anni Venti, o della Triennale del 1968 che del Grande Numero fece il punto centrale delle varie mostre. Non ci appare più infatti come una dimensione nuova e non esiste più una fiducia meccanica nel ruolo progressivo della dimensione di massa. Anzi, se si verificano i risultati dell’edilizia di massa attraversando le nostre periferie, non si può certo riconoscervi alcuna risposta che non sia puramente di carattere quantitativo.
Eppure diversi sono stati gIi operatori che sono intervenuti nel processo di crescita della città: gli enti pubblici, la speculazione privata, le cooperative; ma alla fine, quando si tralasciano gli obiettivi e si considerano i risultati concreti, gli edifici, l’idea di città che hanno prodotto, non si scorgono più sostanziali differenze. Che cosa è accaduto? Bisogna prima di tutto sottolineare il diverso significato che assume oggi, rispetto agli anni Venti, il problema della casa. E’ andata persa, infatti, quella carica ideale di trasformazioni di carattere politico e sociale a cui era legata la cultura della casa, e che aveva connotato anche profonde trasformazioni urbane, come nel caso di Vienna. Anche per il Movimento Moderno il tema dell’abitazione ha costituito uno degli elementi fondamentali di definizione della nuova idea di città, anzi ha costituito il campo di verifica più importante. Oggi invece la casa è stata ridotta ad essere un oggetto, un bene prodotto con tecnologie più o meno avanzate, a costi più o meno alti. I problemi dell’abitare sono stati ricondotti all’interno dell’oggetto casa, divenuto quasi un “rifugio in un mondo senza cuore”, trascurandone il valore urbano. Questo atteggiamento si ritrova anche nelle cooperative; cooperative di abitazione, che organizzano la domanda, di progettazione o di produzione. Nel tentativo di offrire il bene casa ad una certa fascia sociale che non è più quella originaria, esse hanno concentrato l’attenzione sul costo economico, e quindi sui processi produttivi, sulla gestione. E’ stato razionalizzato il processo produttivo, sono stati definiti cataloghi tipologici dove raccogliere le possibili varianti, ma si è dimenticata la dimensione generale, si è persa ogni idea di città. Aver accettato la partecipazione degli utenti ha spesso significato offrire gli stessi modelli della produzione corrente; solo raramente, come in alcuni esempi delle cooperative toscane, si è rinunciato ad ogni enfasi tecnologica o linguistica.
Oggi è entrato in crisi il modello di sviluppo e il fenomeno di mercato a cui anche il movimento cooperativo faceva riferimento; la città che cresce dovrebbe essere letta non più nelle periferie ma piuttosto nelle trasformazioni al suo interno. Il problema della qualità dell’abitare non può quindi essere risolto con la riqualificazione linguistica o tecnologica del prodotto casa, in una visione settoriale del problema, ma riprendendo in considerazione il problema complessivo della città, della sua ricostruzione, sia nelle aree periferiche che in quelle centrali, nel tentativo di conferire loro una nuova identità.
Casabella n°494, Settembre 1983